Io, Paolo, vi esorto per la mansuetudine e la mitezza di Cristo, io, che quando sono presente tra di voi sono umile, ma quando sono assente sono ardito nei vostri confronti,
vi prego di non obbligarmi, quando sarò presente, a procedere arditamente con quella fermezza con la quale intendo agire contro taluni che pensano che noi camminiamo secondo la carne.
Infatti se anche volessi vantarmi un po' più dell' autorità, che il Signore ci ha data per la vostra edificazione e non per la vostra rovina, non avrei motivo di vergognarmi.
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Dico questo perché non sembri che io cerchi d' intimidirvi con le mie lettere.
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Qualcuno dice infatti: «Le sue lettere sono severe e forti; ma la sua presenza fisica è debole e la sua parola è cosa da nulla».
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Quel tale si convinca che come siamo a parole, per mezzo delle lettere, quando siamo assenti, così saremo anche a fatti quando saremo presenti.
Infatti temo, quando verrò, di non trovarvi quali vorrei, e di essere io stesso da voi trovato quale non mi vorreste; temo che vi siano tra di voi contese, gelosie, ire, rivalità, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini;
e che al mio arrivo il mio Dio abbia di nuovo a umiliarmi davanti a voi, e io debba piangere per molti di quelli che hanno peccato precedentemente, e non si sono ravveduti dell' impurità, della fornicazione e della dissolutezza a cui si erano dati.